Gli affreschi della cripta di San Francesco

Chiaro richiamo alla pittura di Giotto

Negli affreschi della cappella ipogea di San Francesco, ricavata all’interno di una torre quadrangolare del castello normanno è chiaro il richiamo alla pittura di Giotto non solo nelle architetture ma anche nella spiritualità dei personaggi. L’ideazione colta voluta dai committenti, i Del Balzo, rispecchia i temi cari alla pittura del Trecento: dalla raffigurazione del Creatore alla Crocifissione, dall’Ultima Cena alla Presentazione al Tempio. Affrescata tra il 1370 e il 1373 da artisti aperti alle influenze umbre e marchigiane, denota influssi di tutte le correnti pittoriche nazionali e internazionali che interessarono Napoli nel XIV secolo.

Gli elementi architettonici presenti nella cappella ipogea, quali le arcate, la volta a botte e le monofore strombate, inquadrano la sua costruzione nel XIII secolo, ad eccezione della porta di accesso che si apre nella nicchia della parete occidentale e del frammento d’arco gotico rinvenuto nell’absidiola della seconda nicchia della parete occidentale, elementi questi che risalgono al XIV secolo, epoca in cui fu affrescata la cappella. Nata come oratorio francescano, nel Trecento fu scelta come cappella gentilizia dai Del Balzo che ebbero ad Irsina un ruolo fondamentale nella promozione di importanti imprese artistiche tra cui la ideazione del ciclo pittorico, voluto da Margherita e da sua figlia Antonia , ritratte tra i personaggi raffigurati. La cappella, affrescata da artisti vicini a Roberto d’Oderisio, il più famoso dei pittori giotteschi napoletani, denota molteplici influssi di scuola fiorentina, senese, pisana, napoletana e romana, che si fondono con richiami oltremontani e irlandesi, conformandosi alla sintesi delle varie correnti pittoriche nazionali e internazionali che interessarono Napoli nel XIV secolo. Gli affreschi, che si sviluppano lungo le pareti e sulla volta della cappella le cui dimensioni sono m.7 per m.4, sconosciuti fino al primo Novecento, furono descritti per la prima volta dall’ultima feudataria irsinese, la contessina Margherita Nugent. Nella volta è raffigurata la figura di Dio Padre. La rappresentazione ricorda le miniature celtico-irlandesi nel volto gigantesco e appiattito, nella lunga barba bianca e negli occhi a mandorla ravvicinati. Il Creatore è contornato da cerchi concentrici multicolore rappresentanti l’universo ed è sorretto da quattro angeli. Agli angoli degli angeli quattro cornici lobate raffigurano i simboli dei quattro evangelisti: l’angelo di San Matteo, il leone di San Marco, l’aquila di San Giovanni e il bue di San Luca. Al centro, sul pilastro della parete orientale, meno rovinata e più integra delle altre, è rappresentata la scena più drammatica del ciclo, la Crocifissione, che risente degli influssi giotteshi, senesi e bizantini. Cristo pende dalla croce reclinando il capo sul petto e ricadendo con le braccia e con il busto in avanti. La tragicità della scena è visibile sul volto sofferente e nei due angeli, raffigurati in rapida discesa sul costato del Cristo. Ai suoi piedi la Vergine e il Battista sono quasi compressi nel pilastro. Al lato destro del Crocifisso, nella nicchia cieca, vi è la Presentazione al Tempio, con l’edificio sacro al centro della scena. Qui il richiamo alla pittura di Giotto è non solo nell’architettura piena di archi, pilastrini, guglie, pinnacoli e motivi decorativi cosmateschi, ma anche nella spiritualità dei personaggi. Sotto l’edicola si assiste alla consegna del Bambino Gesù da parte di Simeone a Maria e Giuseppe, alla presenza della profetessa Anna e di due sacerdoti. Trecentesca è la tipica cuffia dai lobi appuntiti che indossa il santo falegname. Sul pilastro a destra della Presentazione è dipinto il fondatore dell’ordine francescano, San Francesco d’Assisi, che nella mano sinistra regge la Croce e nella destra un libro chiuso da cerniere metalliche. Nella lunetta a sinistra del Cristo in Croce è affrescata l’Incoronazione della Vergine che ricorda Simone Martini e la pittura senese, con Cristo in procinto di posare la corona d’oro sul capo della Vergine. Intorno a loro ci sono nove angeli ritratti con vivo realismo nelle vesti, nelle ali multicolori, nei visi paffuti e negli strumenti musicali. Sette di questi sono musicanti, gli altri due, disposti ai lati di Maria e Gesù, in abiti fiammeggianti, consegnano rose bianche. Nella parte curva del sottarco sono stati rappresentati, nei due rombi, i ritratti femminili delle committenti Margherita e Antonia Del Balzo, rispettivamente duchessa di Taranto e futura regina di Trinacria. L’ultima parete termina con la raffigurazione di Santa Maria Maddalena, che con la mano sinistra ricopre con un velo trasparente la pisside con gli unguenti. Sulla parete meridionale è raffigurato il Pontefice Urbano V, che siede frontalmente su un trono squadrato, decorato con motivi cosmateschi. Il Papa regge il calice contenente le teste dei Santi Pietro e Paolo ritrovate nel 1367 nella Basilica Lateranense. Grande più del doppio delle altre figure affrescate nella cappella, è un omaggio dei frati francescani al Pontefice per la sua benevolenza verso l’ordine. Sotto la finestra, si scorge l’Ultima Cena, quasi completamente rovinata. A sinistra della scena si riconosce Cristo, con San Giovanni che piange sulle sue spalle, Giuda, inginocchiato, di spalle all’osservatore. Sullo sfondo della composizione sono presenti archetti pensili e architetture gotiche. Nella parte superiore della parete meridionale c’è l’Annunciazione, divisa in due da una monofora. Del dipinto, purtroppo, rimane solo il lato sinistro, con un’edicola occupata dall’angelo Gabriele genuflesso e benedicente, di fronte al quale doveva campeggiare l’Annunziata. Chiari sono i rimandi a Duccio di Buoninsegna, Simone Martini e Ambrogio Lorenzetti, la cui arte ritorna nello splendido Angelo Annunciante. A Giotto, invece, guardano le architetture. Gli affreschi della parete nord sono andati distrutti a causa di un varco praticato nel muro e successivamente richiuso. Gli unici due affreschi sopravvissuti sono la Dormitio Virginis, con echi cavalliniani (di Pietro Cavallini), e San Ludovico da Tolosa. Nella Dormitio Virginis la Madonna è al centro della composizione distesa sul letto, mentre due angeli e i dodici apostoli le porgono l’ultimo saluto con smorfie di dolore sui loro visi. Completano la decorazione ventiquattro medaglioni con i ritratti dei Patriarchi e dei Profeti Maggiori e Minori realizzati sulle pareti orientale e occidentale. Gli affreschi irsinesi vanno attribuiti a frescanti di diretta ascendenza toscana e ad artisti meridionali che hanno avuto rapporti, oltre che con modelli di scuola toscana e romana, anche con l’arte internazionale della seconda metà del XIV secolo.
Lo sapevate che…
In alcuni antichi manoscritti si narra che i frati francescani fecero del loro convento un luogo imprendibile e sicuro, tanto che i signorotti locali vi facevano custodire i propri tesori. Infatti, fino a qualche tempo fa, gli anziani del luogo recitavano questa filastrocca: “A Montepeloso, nel grande castello, ci stava un tesoro assai bello, era il tesoro di Santo Francesco sempre tenuto allo fresco. Rubini, topazi e acquemarine stavano tutti nelle cantine. O mio Signore, cerca e trovi, scava la terra, sradica i rovi e quando il tesoro tu troverai, ricco e felice per sempre vivrai”.

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