La donazione De Mabilia
Dal Veneto a Montepeloso: opere d’arte rinascimentali
Il sacerdote irsinese Roberto De Mabilia, rettore della chiesa di San Daniele a Padova, intrecciò intorno al 1453 rapporti con il giovane Mantegna, che in quel periodo lavorava per la chiesa di Santa Giustina a Mantova e gli commissionò la tela raffigurante Sant’Eufemia, ora a Capodimonte, e la scultura dello stesso soggetto per donarle alla sua città natale, riassunta dal 1452 a sede arcivescovile. La cospicua donazione, che comprendeva anche altre opere, arrivò ad Irsina intorno al 1454, dopo un lungo viaggio per mare dai lidi veneti sino a Bari. Della donazione, oggi si possono ammirare nella Cattedrale: il reliquiario del braccio di Sant’Eufemia, la scultura raffigurante la Madonna col Bambino attribuibile a Niccolò Pizolo, collaboratore di Donatello, la scultura di Sant’Eufemia del Mantegna, entrambe in pietra di Nanto, un grande fonte Battesimale, monoblocco in breccia di Verona, un Crocifisso ligneo e la colonnina cosiddetta di Santa Croce, parte evidentemente di un’edicola, che riporta sul pulvino la data dalla donazione e il nome del committente. Facevano altresì parte della donazione un dipinto raffigurante la Dormitio Virginis e tre codici miniati.
La donazione, che si inserisce nel fenomeno più vasto dell’arrivo di opere d’arte veneta in Puglia e Basilicata, nelle intenzioni di Roberto De Mabilia, costituiva il degno riconoscimento per una città che riassumeva la dignità arcivescovile, condivisa con la più importante Andria (Bari), e che si accingeva a vivere un periodo di rinnovato vigore economico e culturale. La vicenda della donazione è narrata in un poemetto del 1592 dell’arcidiacono della Cattedrale di Montepeloso, Pasquale Verrone, dal titolo Vita Divae Euphemiae Virginis et Martyris. In esso si racconta che Roberto De Mabilia, giovane irsinese di facoltosa famiglia, trasferitosi a Padova per motivi di studio e divenuto notaio ecclesiastico e rettore della locale chiesa di San Daniele, decise di donare alla sua amata città natale la preziosa reliquia del braccio di Sant’Eufemia e una serie di opere d’arte che trasportò lui stesso da Padova a Montepeloso. Il reliquiario di Sant’Eufemia nel quale è conservato un osso del braccio della Martire, alto cm. 64, è frutto di rimaneggiamenti che hanno sovrapposto pezzi di epoche e materiali diversi. La parte più antica è il fusto in rame dorato che poggia su una base mistilinea con sei lobi semicircolari alternati da sei a punta. Il fondo del piede è cesellato con un motivo a fitto reticolo, come il nodo a sezione esagonale. La stessa decorazione è presente nella parte superiore sulla quale poggia il secentesco braccio d’argento contenente la reliquia, visibile da un’apertura ovale tempestata di pietre dure verdi e rosse, quest’ultima realizzata nell’Ottocento. Ai lati del braccio due angeli sorreggono la corona con una mano; con l’altra, invece, uno sorregge la palma, l’altro i gigli, simboli del martirio di Sant’Eufemia. La Madonna con il Bambino, conservata in una delle cappelle laterali, più che una scultura a tutto tondo si può definire un alto rilievo, dato che è liscia nella sua parte posteriore, con i segni della sgorbia ancora ben visibili sul blocco di pietra di Nanto. Essa fu quindi realizzata dal suo esecutore per essere collocata in una nicchia ed essere vista solo frontalmente. La Dei Mater è probabilmente opera di Niccolò Pizolo, che lavorava col Mantegna a Padova nella cappella Ovetari e anch’egli allievo di Francesco Squarcione. Come la Sant’Eufemia, anche la Madonna era dipinta, ma la sua cromia originale è andata quasi del tutto perduta. Fino agli anni Novanta del Novecento era completamente nascosta da una ridipintura recente, che ne nascondeva lo splendore. Alta m. 1,70, presenta chiari riferimenti a Donatello e all’arte classica, nella capigliatura, nei calzari, nelle pieghe che scendono morbidamente sulle gambe, nella stessa postura e, in particolare, nel basamento, il quale presenta delle spicconature che a prima vista sembrano frutto dell’incuria del tempo, ma che, per la presenza del colore, attestano la precisa volontà dell’autore di realizzare un effetto “rovina”. Una citazione particolare merita il fonte battesimale, monoblocco, anch’esso conservato in Cattedrale dal 1454. Il monolite poggia su un capitello in pietra calcarea decorato con una danza di putti intervallati da foglie d’acanto. La vasca, collocata nella prima cappella della navata destra, è in breccia di Verona ed è costituita da una conca a sezione circolare all’interno, ottagonale all’esterno, decorata con grandi foglie d’acanto che partono dalla modanatura sottostante e coprono le scanalature presenti; nella parte superiore sono scolpiti serpenti che si intrecciano formando cerchi da cui si affacciano fiori e foglie di vite. Il Crocifisso ligneo, collocato sull’altare della navata centrale è uno dei pezzi più significativi della donazione De Mabilia. Il pathos del Cristo è reso dai muscoli nervosi e tesi e, soprattutto, dall’espressività del volto ritratto nel momento dell’ultimo respiro. Sembra quasi che l’autore abbia assimilato lo spirito innovatore e sperimentale di Donatello, che, peraltro, negli anni della realizzazione del Crocifisso stava eseguendo l’altare del Santo nella Basilica a Padova. A confermare la veridicità della donazione e l’anno in cui essa è avvenuta c’è un’ulteriore testimonianza: la “colonnina di Santa Croce” in breccia di Verona, collocata all’ingresso del coro. Sul pulvino che poggia sul capitello a fogliami, sui quattri lati, c’è una scritta in caratteri gotici che recita : SUB ANNO DNI MCCCCLIIII / HOC OPUS FIERI / FECIT PRESBITER ROBERTUS / DE MABILIA. Clara Gelao, la studiosa che si è occupata della donazione De Mabilia, suppone che essa facesse parte di un baldacchino o di un’edicola che ospitava la statua di Sant’Eufemia del Mantegna, e che sia stata conservata in virtù dell’iscrizione.
Lo sapevate che…
Roberto De Mabilia, per portare a Montepeloso la sua donazione e la reliquia della Santa, organizzò un viaggio per mare dal lido veneto alle coste pugliesi ma una terribile tempesta mise in pericolo la vita dell’intero equipaggio. La tempesta si placò solo quando il sacerdote prese la reliquia di Sant’Eufemia e benedisse le acque che, miracolosamente, si calmarono. Dopo l’arrivo a Bari, il viaggio continuò via terra fino a Montepeloso (oggi Irsina), dove si diffuse subito la notizia del miracolo e Sant’Eufemia fu acclamata protettrice della città. Perciò nel corso dei secoli è stata invocata per tenere lontane le tempeste e le calamità naturali.
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